Cima genovese: se il pesto è il re della cucina ligure, la cima è sicuramente la regina. Piatto sovrano delle festività, era il secondo più preparato sulle tavole delle festa, religiose in primis o in quelle di casa.
Ora viene cucinata meno, sia per la lunga preparazione, potrebbe vincere il campionato di slow cooking, sia per la grande varietà di cibi e ricette che abbiamo rispetto a un tempo.
Io la preparo almeno due volte l’anno: rigorosamente a Natale e al compleanno di Luca, che ne è ghiotto. La accompagno sempre con la salsa verde; spesso è impanata e fritta, soprattutto nei giorni seguenti! Io che sostengo il detto che anche una scarpa, se fritta, è buona, in questo caso la preferisco semplice con la salsa verde.
Poco frequente, ma c’è anche chi la cuoce al forno: io non ho mai provato perché, diciamolo, la cottura è già uno stress, figuriamoci all’asciutto…ma voglio provare!!
Ricetta non semplicissima, ma non impossibile: la difficoltà maggiore consiste, secondo me, nel dosare bene gli ingredienti. La cima è un equilibrio di sapori, per cui uso poco aglio, non eccedo nella maggiorana: nulla deve prevalere. È come una sinfonia!
Scrivo le indicazioni per ogni etto: mi sembra più semplice. Una volta si chiedeva “una cima da 8 uova”, considerando un uovo per etto; io chiedo una cima di 8 etti e il ripieno in base al peso della carne anzi, ne chiedo un po’ di più perché preparo anche le Tomaxelle o le lattughe ripiene … vere delizie della cucina regionale!
La Cima genovese nella Cuciniera dei Ratto.
La vecchia Cuciniera genovese del 1902 non dedica molte righe alla çimma pinn-a, cima ripiena! Ci sono alcune differenze con le ricette attuali. Intanto c’è il tartufo, non comune nelle ricette genovesi! Poi troviamo la castagnetta, una varietà di trippa e ben due o tre granelli. Insieme ai piselli, 75 grammi per una cima di otto uova, ci sono due carciofi bolliti precedentemente. la cottura si protrarrà per due ore e mezza.
Se si vuole un piatto più economico, si può riempire una spalletta di agnello e, in questo caso, dovrà bollire solo per un’ora!
Cima genovese
Print RecipeIngredients
- PER OGNI ETTO DI CARNE:
- Pancetta di vitello, 100 grammi
- Lacetti (animelle), 20 grammi
- Filoni (schienali), 10 grammi
- Cervella, 20 grammi
- Piselli, 16 grammi (freschi o surgelati)
- Uova, tre quarti
- Scalogno, un pezzetto
- Funghi secchi, mezza fetta
- Formaggio grana grattugiato, circa 4 grammi
- Maggiorana, q.b.
- Aglio, un pezzettino (per una cima di 8 etti ho usato mezzo spicchio)
- Olio evo
- Sale
- PER IL BRODO:
- Cipolla
- Sedano
- Carota
- Sale
Instructions
Cucitura Cima genovese
Lavare e asciugare la pancetta di vitello.
Se non è cucita, usare un ago da lana e filo di cotone del nr. 16 seguendo le foto. Lasciare uno spazio aperto uno spazio aperto per riempirla. In pratica, quando è cotta, tirando un capo del filo dovrebbe disfarsi la cucitura con un unico movimento e con tutto il filo intero.
Procedimento.
Levare il grasso in eccesso dai lacetti e tagliarli a pezzettini.
Tagliare la carne a dadini.
Pulire i filoni e la cervella da eventuali impurità (schegge di osso), levare i residui di pelle e tagliare i filoni a piccoli cilindri e la cervella a pezzettini.
Rosolare in olio evo la carne con lo scalogno steccato, per evitare che si sfaldi, e i funghi ammollati precedentemente in acqua calda a fuoco medio.
Quando la carne sarà rosolata, senza asciugare, ritirare dal fuoco e tritare molto grossolanamente.
Nello stesso tegame, far passare a fuoco lento i lacetti: devono mantenersi morbidi.
Sbollentare i piselli; se sono piccoli, io salto questo passaggio e li metto crudi.
Tritare l’ aglio, la maggiorana e unirli con il grana e il sale alle uova, amalgamando molto bene il tutto.
Aggiungere un ingrediente per volta, senza integrare il secondo prima che il precedente sia ben coeso: iniziare con la carne, i lacetti, i piselli, i filoni e la cervella, mescolando con dolcezza.
Versare il composto nella cima (io, se sono da sola, uso una caraffa posizionando la cima in un contenitore con i bordi), ripulendo con poco latte il contenitore.
Cucire l’ apertura con la stessa tecnica.
In una pentola capiente versare abbondante acqua, le verdure e il sale e portare quasi a ebollizione.
Adagiare la cima su un tagliere e massaggiarla dolcemente per favorire la distribuzione degli ingredienti che, a onor del vero, non sempre viene alla perfezione: la cima di questo Natale aveva una coroncina di piselli da un lato!
È normale una leggera fuoriuscita di liquido dalle cuciture.
Cottura.
A questo punto, iniziare a votarsi ai vari Santi di preferenza, scongiuri, riti, amuleti e simili: io mi predispongo in uno stato zen, diciamo uno zen ansioso…anche se è un controsenso!.
Se la cucitura è una rottura, soprattutto se non si è pratici (ma a cui si può ovviare con l’ aiuto del macellaio), la cottura è due ore di ansia pura perché il rischio, a cui non scampa nessuno, è che si rompa. Per carità, il brodo ne guadagna notevolmente, ma non è che uno lavori tutto questo tempo per una buona minestrina e avere il piatto principe rovinato.
Il fatto è che il fattaccio colpisce tutti, esperti e principianti: mia mamma, ad esempio, a cui non si rompeva una cima neanche a martellarla, da un certo periodo in poi le si apriva spesso.
C’è chi la fascia in un telo di lino o la avvolge in una rete: a parte che si può rompere lo stesso, a me non piace e, quindi, corro il rischio: fino ad ora ho la fortuna della genitrice prima maniera, anche se sono consapevole che il fattaccio è sempre in agguato…
Quando il brodo sta quasi bollendo, posare la cima nella pentola e portare a bollore.
Nel giro di poco la cima si gonfierà.
Quando la carne inizierà a tendersi e a opporre resistenza, con un ferro molto sottile praticare qualche buchetto sulla superficie.
Il ferro deve essere più sottile di uno stecco (io uso quello della foto, il “ferrocima”).
La cima va bucata soprattutto all’inizio, per i primi 30, 45 minuti (dipende anche dalla dimensione), distribuendo le punzecchiate sulla superficie (io ne pratico tre o quattro per volta per una cima di 1 kg. circa) ogni 10 minuti circa e proseguo finché c’è una leggera fuoriuscita di liquido…qualche sforacchiamento, per sicurezza, lo rifilo fino alla fine!
Quando inizia a bollire, abbasso la fiamma e lascio sobbollire per un periodo che varia da un’ora e mezza a due ore.
Una volta cotta, levo la carne dal brodo, che faccio consumare, e la dispongo su un contenitore che la contenga in piano.
Su di essa va posizionato un tagliere con sopra un mortaio di marmo: questa è la cima in caregoia, come si dice a Genova e serve per farla compattare, con la fuoriuscita di brodo e aria.
In mancanza del mortaio, qualche pacco di farina o zucchero come pesi vanno benissimo.
Lasciarla sotto peso per qualche ora al fresco o in frigorifero.
Il giorno dopo, liberare la cima e versare la gelatina che si sarà formata nel brodo.
Tirare il filo e tagliarla a fette alte circa un centimetro.
E’ ottima accompagnata dalla salsa verde o, nei giorni successivi, anche impanata e fritta.
Nota.
Per accompagnare la cima genovese, io preparo una salsa verde leggera, che non copra il sapore della cima, che è delicato. Si può accompagnare anche con un’ insalata mista, soprattutto il primavera o estate.